Andrea Cortellessa ha definito quella di Montale una “vita strozzata” (il riferimento è ad un verso di Arsenio), una definizione che Croce aveva utilizzato per Leopardi. Effettivamente il poeta visse in modo appartato, defilato rispetto ai grandi avvenimenti della storia e anche nel privato non riuscì a “conoscere l’esistenza in senso pieno”
Biografia sintetica
- Nasce nel 1896 a Genova da una famiglia alto-borghese. Trascorre le estati a Monterosso (gli resteranno le forti suggestioni del paesaggio ligure), dove conosce Anna degli Uberti (Annetta/Arletta ). Si diploma ragioniere nel 1915. Legge moltissimo. Studia canto. Frequenta gli ambienti crepuscolari e vociani. Nel 1917 partecipa alla guerra, ma nelle retrovie (non in trincea come Ungaretti).
- Nel 1925 esce la raccolta Ossi di seppia con l’editore Gobetti (nuova edizione accresciuta nel 1928); firma il manifesto degli intellettuali antifascisti (ma il suo antifascismo non si spinge oltre).
- Tra il 1927 e il 1948 vive a Firenze, ospite del critico Marangoni, con la cui moglie, Drusilla Tanzi (Mosca), avrà una lunga relazione. Collabora con “Solaria”, conosce Contini ed Eliot che lo orienteranno verso l’allegorismo e lo studio di Dante. Frequenta Irma Brandeis (ebrea americana, la Clizia delle Occasioni), ma rinuncerà a seguirla in America (la relazione termina nel ’38). Nel 1939 va a vivere con la Tanzi. Pubblica per Einaudi Le occasioni. Negli anni della post-resistenza si iscrive al Partito d’azione (con i liberali progressisti), ma l’impegno politico dura pochissimo.
- Nel 1948 si trasferisce a Milano e si impiega al “Corriere della Sera” come cronista culturale. Conduce una vita appartata, lontana dal dibattito politico-culturale del dopoguerra. Tra il 1949 e il 1950 frequenta la poetessa Maria Luisa Spaziani: la Volpe de La bufera e altro, raccolta pubblicata nel 1956.
- Dal 1956 al 1966 attraversa circa dieci anni di “silenzio poetico”.
- Nel 1966 Montale ritorna alla poesia con i versi di Xenia dedicati alla Tanzi (sposata nel 1962, morta l’anno successivo). Si moltiplicano i riconoscimenti pubblici: laurea honoris causa a Cambridge; nomina a senatore a vita. Nel 1971 esce Satura per i tipi Mondadori e nel 1975 ottiene il Premio Nobel.
- Gli anni 1973-1980 sono quelli dell’ultimo Montale: Diario del ‘71 e del ’72 esce ne 1973; seguono: Quaderno di quattro anni (1977), Altri versi (1980). Opere dalle quali emerge la vocazione sempre più diaristica e intimista del poeta.
- Muore a Milano nel 1981. Avrà i funerali di Stato.
Una posizione centrale nella poesia del Novecento
Montale, in circa 60 anni di attività, attraversa tutte le esperienze culturali e le tendenze poetiche del Novecento, mantenendo, però, una posizione autonoma e centrale rispetto a Ungaretti (linea simbolista) e Saba (filone realistico). La formazione avviene a contatto con la poesia pascoliana e dannunziana, con le sperimentazioni dei crepuscolari e dei vociani, ma anche con il classicismo dei rondisti: un necessario “attraversamento” (e successivo superamento) che si manifesta negli Ossi di seppia pubblicati nel 1925.
Con Le occasioni (1939) il poeta adotta uno “stile alto”, aristocratico che sembrerebbe avvicinarlo agli Ermetici, in realtà Montale rifiuta il simbolismo (fondato sull’analogia e le corrispondenze soggetto-oggetto), preferendo un allegorismo basato sull’evidenza esclusiva, perentoria dell’“oggetto-emblema”.
Con le poesie de La bufera e altro (1956), scritte in anni difficili (drammi privati, seconda guerra mondiale) si fa più forte l’esigenza di realismo e di storia. Il poeta sembra fare proprie le istanze del Neorealismo, in realtà la vocazione esistenziale e metafisica e la concezione “aristocratica” della poesia sono sempre molto forti e lo allontanano dalle esperienze poetiche coeve.
Negli anni 1956-1963 (anni del boom economico, dell’industrializzazione, della massificazione, del consumismo) Montale tace in segno di protesta: la sua poesia alta, fatta di impegno etico e filosofico e fiducia umanistica nella cultura, sembra non avere più senso.
Quando il poeta rompe il “silenzio poetico” e torna a parlare lo fa con altra voce. Nel 1971 esce Satura: lo stile si abbassa, si fa prosastico, diaristico e la poesia accoglie temi bassi, quotidiani, si fa più leggera e ludica. Una posizione che solo in parte avvicina Montale alla Neoavanguardia.
Il primo Montale – Ossi di seppia (Gobetti, 1925)
Il titolo originario doveva essere Rottami (risente del clima del frammentismo vociano; c’è l’eco dei Frantumi di Sbarbaro). La raccolta è divisa in 4 sezioni – Movimenti, Ossi di seppia, Mediterraneo, Meriggi e ombre – che disegnano un percorso di formazione che racconta la progressiva frattura, disarmonia tra uomo e natura. Le immagini degli “ossi di seppia”, della natura arida, del paesaggio marino, dell’estate assolata rinviano al D’Annunzio dell’Alcyone, ma la felicità panica dura poco: l’immagine dell’osso-relitto che si stacca dal mare (felicità naturale) e raggiunge la terra – luogo dell’esilio, ma anche della sofferta scelta etica – rappresenta un momento di transizione, di crescita: dall’incanto dell’infanzia al disincanto della maturità; dalla felicità panica alle privazioni e all’indifferenza della vita adulta (“il male di vivere”).
Il paesaggio ligure, aspro e arso, è sentito «come universalissimo» specchio della “strozzata” condizione umana, tuttavia non c’è in Montale l’eroica e disperata rivolta contro una leopardiana “natura maligna” (Leopardi), ma la lucida analisi del «male di vivere», evocato attraverso oggetti, che hanno l’evidenza e la forza delle parole. Diversamente da Ungaretti e dagli ermetici, Montale non ricerca una parola pura capace di svelare misteri profondi; ma cattura oggetti banali, quotidiani e li trasforma non in simboli (che rimandano a qualcosa d’altro), ma in emblemi: immagini speculari di un’emozione, di un’intuizione, di una condizione. Nel messaggio negativo e pessimista del giovane poeta è evidente l’eco di Leopardi, anche se attraverso improvvise epifanie (un profumo, un volto…) il poeta intravede il “varco”, la possibilità di attingere per un istante al fondo segreto dell’esistenza.
Non chiederci la parola (sez. Ossi di seppia)
Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l’animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco
Perduto in mezzo a un polveroso prato.Ah l’uomo che se ne va sicuro,
agli altri ed a se stesso amico,
e l’ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro!Non domandarci la formula che mondi possa aprirti
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo
Il noi (una generazione di poeti) si rivolge ad un tu (i lettori). La poesia è interamente costruita su semplici ma perentorie opposizioni: natura splendente (“croco”) vs natura arida e polverosa; uomo fiducioso e sicuro di sé vs “l’animo informe” dei poeti; poesia rivelatrice e trionfalistica (che apre mondi) vs poesia negativa (sillabe storte e secche).
Spesso il male di vivere ho incontrato (sez. Ossi di seppia)
Spesso il male di vivere ho incontrato:
era il rivo strozzato che gorgoglia,
era l’incartocciarsi della foglia
riarsa, era il cavallo stramazzato.Bene non seppi, fuori del prodigio
che schiude la divina Indifferenza:
era la statua nella sonnolenza
del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.
Due strofe giocate ancora sull’opposizione: tre immagini del male (il rivo strozzato, la foglia incartocciata, il cavallo stramazzato) cui corrispondono tre immagini dell’indifferenza, l’unico “bene” possibile (la statua, la nuvola, il falco). Le immagini sono concrete ed hanno l’evidenza nuda dell’oggetto. Non sono immagini-simbolo, ma oggetti-emblemi di una condizione umana. Montale arriva per vie personali a quella poetica dell’oggetto che metterà a fuoco dopo l’incontro con Eliot (“correlativo oggettivo”).
Il secondo Montale – Le occasioni (Einaudi, 1939)
Negli anni del regime Montale trova in Firenze la sua città ideale: la città di “Solaria” e di “Letteratura”, culla di una cultura umanistica da difendere come ultimo baluardo contro la brutalità dei tempi. L’aristocrazia dello spirito e la religione delle lettere (secondo la lezione del Foscolo) diventano valori da difendere rispetto alla rozzezza e alle mistificazioni del regime. Lo stile si innalza, la metrica è più tradizionale (endecasillabo), l’elemento prosastico non è del tutto assente ma viene riqualificato all’interno di uno stile “sublime”. Prende forma il classicismo modernista di Montale che con la sua poesia, alta e metafisica, si inserisce nella grande tradizione poetica europea che da Baudelaire giunge a Eliot e Pound. Riportiamo di seguito l’organizzazione interna della raccolta:
- I sezione: paesaggi e figure femminili (Dora Markus, Gerti…)
- II sezione “Mottetti”: poesie incentrate sulle epifanie di Clizia e sulla dialettica dannazione/salvezza
- III sezione “Tempi di Bellosguardo”: poemetto unitario in cui il mito umanistico-foscoliano della “religione delle lettere” arretra dinanzi alla incombente minaccia della guerra
- IV sezione: contiene componimenti più lunghi e articolati incentrati sulla dialettica spazio interno protettivo (la casa, lo studio) / spazio esterno minaccioso (la città infernale, volgare)
La casa dei doganieri (1930, IV sez.)
Tu non ricordi la casa dei doganieri
sul rialzo a strapiombo sulla scogliera:
desolata t’attende dalla sera
in cui v’entrò lo sciame dei tuoi pensieri
e vi sostò irrequieto.Libeccio sferza da anni le vecchie mura
e il suono del tuo riso non è più lieto:
la bussola va impazzita all’avventura.
e il calcolo dei dadi più non torna
Tu non ricordi; altro tempo frastorna
la tua memoria; un filo s’addipana.Ne tengo ancora un capo; ma s’allontana
la casa e in cima al tetto la banderuola
affumicata gira senza pietà.
Ne tengo un capo; ma tu resti sola
né qui respiri nell’oscurità.Oh l’orizzonte in fuga, dove s’accende
rara la luce della petroliera!
Il varco è qui? (Ripullula il frangente
ancora sulla balza che scoscende …)
Tu non ricordi la casa di questa
mia sera. Ed io non so chi va e chi resta.
La poesia – una sorta di dialogo tra Montale e la defunta Annetta (Anna degli Uberti), fanciulla amata in gioventù – è ricca di oggetti emblematici che rinviano alla sfera dei ricordi (la casa, la scogliera), allo spaesamento del poeta (la bussola impazzita) al tempo che scorre rapido (la banderuola che gira “senza pietà”) all’irrazionalità e incertezza della vita (il calcolo dei dadi). Il “filo che si addipana” è quello dei ricordi che il poeta tenta disperatamente di non far scivolare via (“ne tengo ancora un capo”). Nel verso finale c’è la dichiarazione dell’impossibilità di avere una qualsiasi certezza esistenziale.
Il terzo Montale – La bufera ed altro (Neri Pozza, 1956)
La raccolta contiene poesie scritte tra il 1940 e il 1954. Sono anni cruciali per quanto concerne il contesto storico-sociale: l’esperienza della seconda guerra mondiale, le delusioni e le speranze del dopoguerra, la crisi dei valori e la progressiva massificazione sociale, la crisi della funzione intellettuale. Ma anche sul piano privato sono anni difficili per il poeta: i lutti familiari, la nostalgia per i giorni felici in Liguria, le complesse vicende sentimentali (l’allontanamento di Clizia, la malattia di Mosca e l’incontro con Volpe), il trasferimento a Milano.
È innegabile nella raccolta la presenza di una trama narrativa; il titolo originario doveva essere Romanzo (progetto del 1949). I disastri della guerra e l’impossibilità di veicolare un messaggio positivo indussero il poeta nel 1956 a cambiare il titolo. Il volume racconta un percorso di speranza e fallimento, articolato in 3 fasi: l’iniziale speranza di salvezza “universale”, incarnata dalla figura salvifica di Clizia, donna-angelo, portatrice di valori “alti”, intellettuali, morali, cristiani; il fallimento di Clizia e la speranza di un recupero di valori dal “basso”, attraverso la dimensione terrena e istintuale incarnata da Volpe (l’anti-Beatrice); la consapevolezza finale che l’unica possibilità di salvezza può esserci solo come “dono privato” (Volpe). Senso di sconfitta e fine di ogni speranza collettiva.Questa l’organizzazione interna:
- I sez.: Finisterre (1940-43)
- II sez. Dopo (1943-45)
- III sez. Intermezzo (1943-45)
- IV sez. Flashes e dediche (1948-52)
- V sez. Silvae (1946-49)
- VI sez. Madrigali privati (1949-50)
- VII sez. Conclusioni provvisorie (1953-54)
Nelle sezioni I, II, III: tema della guerra, apparizioni di Clizia, lutti familiari, ricordi d’infanzia, Liguria, i morti (custodi di valori perduti). Nelle sezioni IV, V, VI: tema della donna (Clizia-Beatrice). Nella VII sezione: delusione storica (crisi definitiva dei valori e della speranza). Nella successione cronologica delle 7 sezioni, la IV fa da cesura e contiene testi brevi e immediati, come suggerisce il titolo.
- In Finisterre (località della Bretagna, ma anche allusione alla fine delle vita e della terra), l’atmosfera, la lingua e lo stile sono di tipo petrarchesco (monostilismo e monolinguismo). Clizia-Beatrice, con la sua presenza/assenza rappresenta l’alternativa di salvezza “per tutti” (ma già compaiono i segni della crisi).
- In Intermezzo e Dopo (brevi sezioni di passaggio) scompare la dimensione petrarchesca, il linguaggio è più concreto e realistico, Clizia è assente (compaiono Arletta e Mosca).
- In Flashes e dediche i testi sono brevi e concentrati, i contenuti bassi, quotidiani (quasi appunti giornalistici), si alternano le figure di Clizia e Volpe.
- Silvae contiene le poesie più impegnate sul piano etico e filosofico (allegorismo cristiano): la delusione politica post-Liberazione, la crisi dei valori resistenziali, la progressiva massificazione culturale inducono il poeta a riflettere sul valore della poesia, intesa come privilegio quasi sacrale. Clizia-Cristofora, con la sua dimensione assoluta, astratta, intellettuale, dovrebbe garantire la difesa dei valori “alti” dell’umanesimo e mediare tra cielo e terra, ma Clizia è l’“Iddia che non s’incarna”, piuttosto fugge nell’”oltrecielo”. L’alternativa è recuperare i valori dal “basso”: dall’allegorismo cristiano si massa all’allegorismo immanentistico (mondo animale e istintuale come alternativa vitalistica). Da Clizia a Volpe. Clizia (la poesia) se vuole sopravvivere, deve farlo nel “fango” della società contemporanea (allegoria dell’anguilla che vive e si riproduce in condizioni estreme).
- I Madrigali privati contengono 8 poesie dedicate a Volpe (Maria Luisa Spaziani, conosciuta nel 1949). Volpe è la donna-anguilla, l’anti-Beatrice. Non è Cristofora, rappresenta la vitalità naturale, la concretezza del mondo animale, la pulsione vitalistica dell’eros. Non prospetta soluzioni salvifiche universali, ma solo la salvezza del poeta sotto forma di “dono privato” (segno, per il poeta, di una sconfitta epocale)
- Le due poesie politiche che compongono le Conclusioni provvisorie e chiudono il libro (tramonto della civiltà occidentale; polemica contro lo stalinismo e contro i partiti di massa italiani) segnano il definitivo ripiegamento di Montale e preannunciano il successivo silenzio poetico.
L’anguilla (1949, La bufera e altro, V sez.)
L’anguilla, la sirena
dei mari freddi che lascia il Baltico
per giungere ai nostri mari,
ai nostri estuari, ai fiumi
che risale in profondo, sotto la piena avversa,
di ramo in ramo e poi
di capello in capello, assottigliati,
sempre più addentro, sempre più nel cuore
del macigno, filtrando
tra gorielli di melma finché un giorno
una luce scoccata dai castagni
ne accende il guizzo in pozze d’acquamorta,
nei fossi che declinano
dai balzi d’Appennino alla Romagna;
l’anguilla, torcia, frusta,
freccia d’Amore in terra
che solo i nostri botri o i disseccati
ruscelli pirenaici riconducono
a paradisi di fecondazione;
l’anima verde che cerca
vita là dove solo
morde l’arsura e la desolazione,
la scintilla che dice
tutto comincia quando tutto pare
incarbonirsi, bronco seppellito;
l’iride breve, gemella
di quella che incastonano i tuoi cigli
e fai brillare intatta in mezzo ai figli
dell’uomo, immersi nel tuo fango, puoi tu
non crederla sorella?
Il percorso tortuoso, zigzagante dell’anguilla (dall’Oceano al Mediterraneo, dal Tirreno agli Appennini) è riprodotto anche a livello formale. L’anguilla è l’allegoria della forza vitale e dell’istinto che soli possono consentire all’uomo di sopravvivere nel disagio e nelle difficoltà del presente. Nella parte finale l’”iride breve”, ovvero i piccoli occhi dell’anguilla, diventano l’elemento unificante tra Clizia e Volpe (spiritualità ed eros). Clizia, e tutti gli uomini, possono sopravvivere nel presente solo se immersi nel “fango”, cioè appellandosi all’istinto vitalistico.
Le prose
Le numerose prose e brevi racconti che Montale scrive a partire dal 1946 testimoniano un altro aspetto della sua personalità e del suo gusto intellettuale. Le prose scritte tra il 1946 e il 1953 furono pubblicate nel 1956 (I ed.) ne La farfalla di Dinard (Dinard è una località della Normandia). Nel 1966 esce Auto da fé: letteralmente “atto di fede”, ma anche falò dei libri proibiti e quindi denuncia della crisi/inattualità della fede (= cultura). Nel 1969 in Fuori di casa riunisce e pubblica alcuni dei suoi reportages giornalistici. In questi scritti scopriamo un Montale anti-lirico, ironico, che si esprime in un linguaggio da conversazione salottiera e con toni da dandy, da intellettuale snob. È un poeta disincantato, costretto ad abdicare al ruolo di custode/sacerdote di valori alti (umani e intellettuali), definitivamente seppelliti dai disvalori della civiltà industriale e massificata. Inevitabile la svolta di Satura.
L’ultimo Montale – Satura (Mondadori, 1971)
Dopo anni di “silenzio poetico” e dopo l’elaborazione del lutto per la morte della moglie, Montale ritorna alla poesia “con altra voce”. La dialettica Clizia/Volpe, dannazione/salvezza che era stata alla base de La bufera e altro, non ha più senso in una realtà massificata e omologata verso il basso, in cui tutto è mescolato, confuso, in cui non è più possibile distinguere valore e disvalore: a prevalere è la società dell’“ossimoro permanente”, della contraddizione e dell’insignificanza. Di conseguenza, la poesia non può più essere esclusiva, selettiva, aristocratica, ma deve riflettere la mescolanza, la contaminazione, deve essere “inclusiva” di tutto e accogliere contenuti un tempo definiti impoetici. Plurilinguismo e comicità (in senso dantesco) costituiscono dunque gli elementi cardine della nuova poesia montaliana che adotta moduli prosastici e contenuti” bassi”: dominano l’ironia e l’autoironia, il sarcasmo, il gusto per l’autocitazione parodica, per la dissacrazione, per il gioco. Un atteggiamento che avvicina Montale alla Neoavanguardia, ma gli manca oramai la fiducia nel potenziale “rivoluzionario” della poesia. Il poeta registra nei suoi versi il fallimento della letteratura e non propone valori “alternativi”. È il tempo dell’allegorismo apocalittico. La raccolta è divisa in 4 sezioni:
- Xenia I e Xenia II: composte di 14 testi ciascuna; poesie dedicate a Mosca (Drusilla Tanzi, morta nel 1963);
- Satura I e Satura II: temi satirici, polemici, ludici, parodici
Mosca è l’insetto che con la sua vitalità e la sua capacità di adattamento riesce ad orientarsi nel “trionfo di spazzatura” che è la civiltà contemporanea. È l’anti-Clizia, non ha doti di chiaroveggenza, non è portatrice di salvezza e di valori alti e universali, ma con il suo “radar di pipistrello” sa muoversi tra le storture e le mistificazioni della vita quotidiana alla quale guarda con ironia e sarcasmo (doti che ha insegnato al poeta).
Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale (20 novembre 1967, Xenia II)
Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tuttora, né più mi occorrono
le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
non già perché con quattr’occhi forse di vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.
Il poeta avverte la solitudine causata dalla perdita della moglie. Non hanno più senso per lui le coordinate della vita pratica. Mosca gli ha insegnato a “vedere”. La donna è quasi cieca, le sue “pupille offuscate” dalla miopia non sono più gli “occhi di ghiaccio” di Clizia. Eppure Mosca “vede” più profondamente degli altri. La sua sapienza pratica, quotidiana è un indispensabile strumento per sopravvivere nel caos della realtà.
Per concludere…
“…come immaginare il Novecento italiano senza Montale? Apparirebbe come una bella casa di vetro e mattoni rossi, ma priva dell’anima di cemento. L’unica vera ripartenza dopo il sommesso abbattimento crepuscolare sarebbe stata quella di Ungaretti, troppo legato al modernismo lirico e soprattutto a uno stanco equivoco petrarchesco-leopardiano per poter durare davvero. E saremmo rimasti con Saba e Penna, grandissimi, ma talmente classici, talmente sovrani di sé stessi da risultare inimitabili, e soprattutto poco influenti, poco spendibili fuori dai nostri confini, poco scalabili, poco esemplari. Montale ci ha salvato agli occhi del mondo: ci ha dato (come Pirandello) quella seria modernità locale-globale che è sempre sfuggita al nostro regionalismo e alle nostre estenuazioni cortigiane o accademiche. Quella modernità non avanguardistica che ci ha iscritto al corso avanzato di letteratura mondiale e ha firmato il libretto delle giustificazioni per la nostra lunga assenza.”
Paolo Febbraro, Cosa accade se rileggo Montale, Le parole e le cose, 2015
lucida, chiara, efficace… 🙂
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Caspita! Già letto e pure commentato! Grazie mille. Spero sia utile ai tanti ragazzi in DAD (l’obiettivo è quello). Un abbraccio
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Si l’avevo inteso… stai loro costruendo un archivio prezioso… 🙂
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Come sempre chiara, essenziale , esaustiva !!!
Preziosi appunti per tutti gli alunni in vista dell’Esame di Stato!!!!
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Grazie Margo! L’apprezzamento di un'”addetta ai lavori” competente come te fa sempre piacere!
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