CREPUSCOLARISMO – Appunti sintetici

Il “crepuscolo” della poesia. Fu il critico Giuseppe Antonio Borgese, in un articolo dedicato a M. Moretti, F. M. Martini, C. Chiaves (“La Stampa”, 01/09/1910) a definire “crepuscolare” questo nuovo tipo di poesia nata dalle “ceneri” della grande tradizione poetica italiana (la linea Leopardi-Carducci-Pascoli-D’Annunzio). Il crepuscolo è il tramonto, la fine del giorno, e i giovani poeti crepuscolari (con il loro stile dimesso e anti-sublime, la voluta prosaicità e i toni umbratili delle loro poesie) si collocavano al termine della grande stagione poetica ottocentesca che si consumava in “un mite e lunghissimo crepuscolo”.

Le influenze. Sicuramente il Pascoli di Myricae – il poeta-fanciullo delle piccole cose, cantore della vita umile di provincia e della quotidianità – ha influenzato temi e toni della poesia crepuscolare. Tuttavia se il poeta-fanciullo pascoliano prova felicità nella sua voluta regressione al mondo delle piccole cose, i poeti crepuscolari vagheggiano solo intellettualisticamente quel mondo provinciale (con malinconia o ironia) al quale sentono di non aderire fino in fondo. Anche D’Annunzio, fortemente avversato e radicalmente distante dai crepuscolari per ispirazione e contenuti, ha esercitato una qualche suggestione su questi giovani poeti. Non ci riferiamo, ovviamente, al D’Annunzio “esteta” de Il piacere (1889), né al D’Annunzio de Le vergini delle rocce (1895), cantore del superuomo, ma all’autore del Poema paradisiaco (1893), l’opera in cui il vate abruzzese si presenta come poeta della “bontà”, adotta toni più bassi e colloquiali e temi più intimi.

I temi e lo stile. Il Crepuscolarismo non è un movimento poetico omogeneo. Moretti, Gozzano, Martini, Corazzini seguono percorsi differenti, tuttavia è possibile individuare alcuni temi ricorrenti:

  • Rifiuto della società borghese, affaristica e legata ad interessi meschini. Avversione per il dannunzianesimo imperante
  • Critica all’ottimismo progressista di matrice positivista cui si sostituisce un senso di impotenza e di malinconia esistenziale
  • Senso di estraneità ed esclusione sociale e conseguente desiderio di ripiegamento interiore
  • Vagheggiamento della vita di provincia lenta e monotona.
  • Rappresentazione di ambienti dimessi, giardinetti pubblici trascurati, organetti di Barberia, fontane che gocciolano, corsie di ospedale.
  • La malattia (spesso associata a patetismo e autocommiserazione)

La scelta di contenuti “bassi” comporta, sul piano formale, l’adozione di uno stile “anti-sublime”, prosastico, un lessico semplice e quotidiano, il rifiuto della metrica preziosa e l’adozione (spesso) del verso libero.

Due poeti crepuscolari. Sergio Corazzini (Roma, 1886-1907) e Guido Gozzano (Aglié, 1883-1916) sono i due esponenti più significativi della poesia crepuscolare, diversi per ispirazione e moduli espressivi (patetismo del primo vs ironia del secondo), ma accomunati da alcune circostanze:

  • provengono da famiglie borghesi agiate
  • muoiono giovani, di tubercolosi
  • presenza in entrambi di influssi simbolisti

CORAZZINI non è un provinciale, nasce a Roma e affida alla poesia la sua disperazione di “fanciullo malato” destinato ad una fine precoce (muore a soli 21 anni). Desolazione del povero poeta sentimentale (contenuta ne Il piccolo libro inutile del 1906) è il suo componimento più celebre (8 strofe di versi liberi). In questa poesia, dai toni umili e dimessi, la disperazione del fanciullo sofferente, che rifiuta l’etichetta di “poeta”, sconfina nel patetismo e nell’auto-commiserazione.

Perché tu mi dici: poeta?
io non sono un poeta.
Io non sono che un piccolo fanciullo che piange.
Vedi: non ho che le lagrime da offrire al Silenzio.
Perché tu mi dici: poeta? (vv. 1-5)

La poesia e la religione si presentano come le uniche ancore di salvezza, rimedi precari alla desolazione e alla solitudine del giovane poeta.

GOZZANO nasce in provincia di Torino e, a differenza di Corazzini, ha modo di frequentare ambienti giornalistici e culturali. Nel poemetto narrativo La signorina Felicita, ovvero la felicità (contenuta ne I Colloqui del 1911 ), i sopracitati temi crepuscolari sono rivisitati in chiave ironica e distaccata. Come scrisse Montale, Gozzano fa cozzare “l’aulico col prosaico”: i modi sono colloquiali ma colti e la metrica è raffinata (sestine di endecasillabi). L’ironica celebrazione della mediocre vita di provincia (alla quale il poeta finge di aderire) “abbassa” il sublime dannunziano e la dolorosa constatazione dell’impossibilità della poesia “alta” si traduce in “vergogna della poesia”:

Oh! questa vita sterile, di sogno!
Meglio la vita ruvida concreta
del buon mercante inteso alla moneta,
meglio andare sferzati dal bisogno,
ma vivere di vita! Io mi vergogno,
sì, mi vergogno d’essere un poeta! (VI, vv. 13-18)

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