L’ERMETISMO E SALVATORE QUASIMODO. Appunti sintetici

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Salvatore Quasimodo nel 1962

Gli anni del “ritorno all’ordine”: azione o separatezza?

Nel ventennio fascista gli intellettuali italiani si trovano di fronte ad una scelta di fondo:

  • o integrarsi, fare propaganda, esaltare i miti nazionalisti e imperialisti del regime, rivolgersi al pubblico-massa (D’Annunzio, i futuristi)
  • o chiudersi in un aristocratico isolamento e rivolgersi ad un pubblico d’èlite

Molti scelgono la seconda via che li allontanava dalla realtà e dalla politica del tempo, ma garantiva libertà d’azione e minore controllo da parte della censura. I poeti italiani, in larga parte, abdicano a qualsiasi forma di impegno politico e di intervento sociale, preferendo arroccarsi nella cosiddetta “torre d’avorio” della letteratura.

La fuga nell’arte

Dalla metà degli anni Venti fino allo scoppio della seconda guerra mondiale, Bo, Quasimodo, Gatto, De Libero, Sinisgalli e molti altri si pongono sulla scia post-simbolista e sviluppano una poesia:

  • come intuizione pura, rivelazione orfica di verità assolute;
  • priva di tessuto ragionativo (assenza di nessi logici e grammaticali, di connettivi, di articoli);
  • costituita di parole astratte, indeterminate, “assolute” (cioè sciolte dai legami con la realtà immediata);
  • ardua, aristocratica, “iperletteraria” (una poesia per “iniziati”);
  • refrattaria a qualsiasi contenuto di tipo morale o politico

Il gruppo fiorentino

Fu il critico Francesco Flora (Poesia ermetica, 1936) a dare il nome (in senso polemico) a questa corrente letteraria. Il nome derivava dal Corpus Hermeticum (raccolta di testi filosofici neopitagorici e neoplatonici) del mitico filosofo greco Ermete Trismegisto, venerato in età ellenistica con riti misterici. Con “poesia ermetica”, quindi, si voleva indicare il carattere arduo, oscuro di questa poesia e la sua forte componente lirico-simbolica. Firenze fu la città d’elezione dove si ritrovarono poeti di diversa formazione e provenienza geografica (il siciliano Quasimodo, il lucano Sinisgalli, il salernitano Gatto, ecc.) accomunati da una medesima concezione dell’arte e riuniti attorno alla rivista “Il frontespizio”. Il testo di Carlo Bo Letteratura come vita fu considerato il manifesto della poesia ermetica. Ungaretti non aderì al gruppo fiorentino ma fu considerato il maestro (avendo anticipato forme e contenuti in Sentimento del tempo ). Montale prese pubblicamente le distanze dagli ermetici fiorentini. Croce con la sua concezione idealistica dell’arte come intuizione pura diede l’avallo filosofico.

Una “poesia dell’assenza”

Carlo Bo in un articolo del 1945, Che cos’era l’assenza, volle tentare un bilancio critico, a posteriori, dell’Ermetismo, individuandone al contempo le ragioni storiche e i caratteri peculiari. La poesia ermetica fu effettivamente “poesia dell’assenza”:

  • assenza dei poeti dalla scena politico-sociale italiana nel periodo tra le due guerre (assenza che valeva come rifiuto, ma anche come rinuncia)
  • assenza di impegno e “arroccamento aristocratico”
  • assenza di concretezza, di realismo, di quotidianità

Di conseguenza i temi della poesia ermetica furono sostanzialmente di tipo “regressivo”:

  • I ricordi dell’infanzia (spesso recuperati attraverso la dimensione onirica)
  • Il ricordo trasfigurato della terra d’origine (molti ermetici erano “emigranti”)
  • La solitudine
  • Il rimpianto nostalgico del passato
  • Il presentimento angoscioso di una tragedia imminente
  • Poesia come “consolazione”

 

SALVATORE QUASIMODO (1901-1968)

Biografia sintetica

  • 1901 – nasce a Ragusa da una famiglia piccolo-borghese. Il padre è ferroviere. Compie studi tecnici, si iscrive all’università, ma abbandona gli studi perché ha bisogno di lavorare e si impiega al Genio civile.
  • Nel 1929 è a Firenze su invito di amici legati alla rivista “Solaria” (tra cui Vittorini,  che nel 1927 aveva sposato sua sorella Rosa);
  • Nel 1930 esce Acque e terre; nel 1932, Oboe sommerso.
  • Nel 1942 esce la raccolta Ed è subito sera che riunisce le due precedenti.
  • Negli anni ‘40 e ‘50 traduce lirici latini e greci e pubblica altre raccolte poetiche, svolge un’intensa attività giornalistica.
  • Nel 1959 vince il premio Nobel per la letteratura.
  • 1968 – muore improvvisamente a Napoli.

Dall’Ermetismo al Neorealismo

Pur nell’evoluzione del percorso poetico (la svolta avviene dopo Ed è subito sera, in concomitanza con lo scoppio della guerra), Quasimodo resta fedele alla sua concezione della poesia come privilegio, come esperienza “separata”. La parola poetica consente una visione distaccata, superiore, della realtà e si colloca sempre in una dimensione assoluta, anche quando tocca vicende drammatiche o si colora di temi ideologici e politici. Resterà, quindi, sempre una forte tendenza ad assolutizzare i contenuti e a trasportare la realtà in una dimensione astratta, non solo quando si tratterà di esprimere la solitudine esistenziale del poeta, ma anche quando, dopo la guerra, Quasimodo deciderà di aprirsi a contenuti più concreti e realistici. Anche il paesaggio siciliano (una costante poetica) sarà sempre trasfigurato in un luogo mitico, astratto, favoloso, vissuto con un sentimento di abbandono regressivo.

Due poesie

Ride la gazza, nera sugli aranci (da Ed è subito sera, 1942)

Forse è un segno vero della vita: 
intorno a me fanciulli con leggeri 
moti del capo danzano in un gioco 
di cadenze e di voci lungo il prato
della chiesa. Pietà della sera, ombre 
riaccese sopra l’erba così verde, 
bellissime nel fuoco della luna! 
Memoria vi concede breve sonno; 
ora, destatevi. Ecco, scroscia il pozzo 
per la prima marea. Questa è l’ora: 
non più mia, arsi, remoti simulacri. 
E tu vento del sud forte di zàgare, 
spingi la luna dove nudi dormono 
fanciulli, forza il puledro sui campi 
umidi d’orme di cavalle, apri 
il mare, alza le nuvole dagli alberi: 
già l’airone s’avanza verso l’acqua 
e fiuta lento il fango tra le spine, 
ride la gazza, nera sugli aranci.

In questo testo prende corpo una Sicilia mitizzata, assolutizzata, una sorta di “terra promessa” che si illumina e prende forma nel ricordo del poeta insieme all’immagine di adolescenti spensierati. Poi la marea (che fa ribollire l’acqua nel pozzo) e il vento giungono a sconvolgere l’immagine quieta della natura. Infine l’airone che avanza e “fiuta lento il fango tra le spine” e la gazza che “ride, nera sugli aranci” introducono “un elemento perturbante” (Luperini).

Milano, agosto 1943 (da Giorno dopo giorno, 1947

Invano cerchi tra la polvere,
povera mano, la città è morta.
È morta: s’è udito l’ultimo rombo
sul cuore del Naviglio. E l’usignolo
è caduto dall’antenna, alta sul convento,
dove cantava prima del tramonto.
Non scavate pozzi nei cortili:
i vivi non hanno più sete.
Non toccate i morti, così rossi, così gonfi:
lasciateli nella terra delle loro case:
la città è morta, è morta.

 

Il titolo è referenziale, il contenuto è concreto (la guerra, il bombardamento di Milano, i morti) e il linguaggio si fa più realistico, privo della patina letteraria delle poesie della stagione precedente. Non c’è violenza espressionistica, il tono è calmo, ma la ripetizione ostinata della parola “morte” esprime tutto l’orrore del poeta per la tragedia della guerra e del dopoguerra.

 

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