Per una serie di motivi, che possiamo provare a riassumere, Giacomo Leopardi (1798-1837) visse una condizione di isolamento, di “estraneità” rispetto al contesto culturale nel quale si trovò a operare, in quanto non riuscì mai ad inserirsi a pieno titolo negli ambienti intellettuali del tempo (in cui dominava incontrastato Manzoni).
Il poeta recanatese rifiutò sia l’atteggiamento progressista dei romantici fiorentini (inconciliabile con la sua concezione pessimistica della realtà), sia la spiritualità cattolica dei romantici milanesi. Ateo e sensista, si pose a difesa della tradizione classicista, pur rivelando nelle sue opere una spiccata “sensibilità” romantica; anche il tema patriottico, molto caro ai romantici italiani, fu sì attraversato dal poeta, ma in modo esteriore e marginale. Nel corso dell’Ottocento Leopardi fu frainteso, liquidato semplicisticamente come poeta sentimentale e sottovalutato rispetto a Manzoni. Praticamente sconosciuto fuori dall’Italia, fu apprezzato in Germania come filologo erudito. In patria fu De Sanctis il primo a notare la compresenza nella sua opera di lirismo e filosofia, e proprio quest’ultima fu giudicata da Benedetto Croce un elemento di disturbo della sua poesia. Oggi, la grandezza e l’originalità del poeta, nonché la sua influenza sulle generazioni poetiche successive, sono universalmente riconosciute, ma resta il fatto che Leopardi fu un outsider e, in quanto tale, la sua collocazione all’interno della tradizione poetica, come in quella filosofica, risulta ancora problematica.
BIOGRAFIA SINTETICA. Sull’interpretazione del pensiero di Leopardi e della sua poesia pesano senz’altro i dati biografici. L’isolamento a Recanati, la deformità fisica, la malattia condizionarono inevitabilmente la sua prassi poetica e, almeno in parte, ne spiegano la “diversità”.
- Fino a venticinque anni visse a Recanati (nonostante un fallimentare tentativo di fuga nel 1819). Studiò nella vastissima biblioteca paterna dove acquisì una profonda conoscenza del latino, del greco, dell’ebraico, del francese.
- Nel 1817 cominciò lo Zibaldone (una sorta di diario nel quale, per circa 15 anni, annotò i suoi pensieri) ed entrò in corrispondenza col classicista Pietro Giordani, col quale strinse un profondo sodalizio umano e intellettuale.
- Nella polemica tra classicisti e romantici si schierò a favore dei primi: scrisse la Lettera ai compilatori della “Biblioteca italiana” (1816) e poi il Discorso di un italiano sopra la poesia romantica (1818), testi che però rimasero inediti fino al 1906.
- Tra il 1818 e il 1821 compose gli “idilli” e le canzoni politiche (da qualche anno era maturata la “conversione poetica”: “dall’erudizione al bello”).
- Nel 1823 si allontanò per la prima volta da Recanati per recarsi a Roma, ma ne rimase profondamente deluso.
- Negli anni ’20 maturò la cosiddetta “conversione filosofica” (“dal bello al vero”) che lo portò alla composizione delle Operette morali (1824).
- Tra il 1825 e il 1828 lasciò nuovamente Recanati per recarsi a Milano e poi a Bologna e a Pisa (dove iniziò la stesura dei Canti).
- Nel 1828-30 fu di nuovo a Recanati dove continuò a lavorare ai Canti.
- Nel 1830 si stabilì a Firenze ed entrò in contatto con il gruppo dei romantici fiorentini. Conobbe Fanny Targioni Tozzetti della quale si innamorò (non corrisposto) e strinse una profonda amicizia con lo studioso napoletano Antonio Ranieri.
- Nel 1831 a Firenze uscì la prima edizione dei Canti.
- Nel 1833 si trasferì con Ranieri a Napoli dove trascorse gli ultimi anni assistito dall’amico.
- Morì a Torre del Greco nel 1837 a soli 39 anni.
IL PENSIERO. Il pensiero di Leopardi – “asistematico” e in continua evoluzione – è disseminato nelle sue opere, principalmente nello Zibaldone, nelle Operette morali (dialoghi filosofici) e nei Canti. Tradizionalmente sono individuate 4 fasi:
- Pessimismo storico: la prima fase della riflessione filosofica di Leopardi (in parte influenzata dal pensiero di Rousseau) è collegata alla cosiddetta “teoria delle illusioni”. Il poeta parte dalla considerazione del rapporto uomo/natura e lo analizza nelle diverse epoche. Gli antichi, che vivevano secondo natura e in equilibrio con essa, erano felici perché si nutrivano di miti, favole e illusioni che alimentavano la loro poesia (poesia d’immaginazione). Con l’avvento del Cristianesimo l’uomo ha perduto la dimensione della felicità terrena: è subentrato il senso del peccato e si è rotto definitivamente il rapporto armonico con la natura (che in questa fase è ancora madre “benigna”). La civiltà e il progresso hanno infine distrutto le illusioni, i miti, cosicché i moderni hanno perso per sempre la possibilità di essere felici e la loro poesia (che non può più nutrirsi di favole e illusioni) può essere solo poesia sentimentale (la riflessione ha preso il sopravvento sull’immaginazione). Solo i fanciulli conservano intatta la facoltà di immaginare che è preclusa agli adulti.
- Pessimismo psicologico-sensistico: in questa fase Leopardi elabora la “teoria del piacere”. L’uomo tende per sua natura al piacere infinito, alla realizzazione del desiderio. Quest’ultimo però è destinato a restare sempre insoddisfatto, inappagato, una sorta di assillo costante che condanna l’uomo ad una sofferenza continua. L’unica felicità possibile, quindi, consiste nell’attesa del piacere o nella cessazione del dolore: nel mezzo c’è solo noia.
- Pessimismo cosmico-materialistico: il poeta approfondisce ulteriormente, in senso materialistico, la riflessione sull’infelicità che diviene un dato perenne della condizione umana, in ogni epoca, e investe anche il mondo animale. La storia della natura e dell’Universo è storia incessante di produzione e distruzione. La natura è “matrigna”, indifferente alla sorte dell’individuo e non c’è progresso (né finalità) nel ciclo dell’esistenza.
- Atteggiamento eroico: In quest’ultima fase, Leopardi esorta gli uomini a prendere coscienza dell’”arido vero” e ad accettare con fierezza il destino di infelicità e dolore al quale tutti siamo condannati sin dalla nascita. Il compito della scienza è proprio quello di svelare la vanità delle illusioni, non di crearne di altre (il falso mito del progresso). Tutti gli uomini, raggiunta questa consapevolezza, potranno trovare conforto nella solidarietà, nell’affratellamento in un destino comune.
I CANTI. STORIA EDITORIALE, SCANSIONE INTERNA, POETICA. I Canti contengono poesie e canzoni composte da Leopardi tra il 1816 e il 1836. La raccolta, quindi, si costituisce nel tempo e scandisce le diverse fasi del pensiero e della poetica dell’autore:
- Roma 1818 – escono le 2 canzoni patriottiche: All’Italia e Sopra il monumento di Dante
- Bologna 1824 – l’editore Nobili pubblica le Canzoni (10 componimenti)
- Bologna 1826 – la Stamperia delle Muse pubblica la raccolta Versi che comprende traduzioni e poesie (tra queste anche 6 Idilli)
- Firenze 1831 – l’autore cura la raccolta dei Canti riunendo, per la prima volta, Canzoni e Idilli. L’editore è Piatti. L’opera è dedicata agli amici di Toscana
- Napoli 1835 – l’editore Starita pubblica una nuova edizione accresciuta dei Canti. Vengono aggiunte le poesie del Ciclo di Aspasia (per Fanny Targioni Tozzetti), la Palinodia al marchese Gino Capponi e il Passero solitario.
- Firenze 1845 – edizione postuma dei Canti curata da Antonio Ranieri per Le Monnier con l’aggiunta degli ultimi canti (La ginestra e Il tramonto della luna).
La raccolta si compone di 41 poesie, così organizzate:
1-9 (1818-1822) – le canzoni (patriottiche: All’Italia, Sopra il monumento di Dante; civili: Ad Angelo Mai; filosofiche: Bruto minore, Alla primavera, Inno ai Patriarchi, Ultimo canto di Saffo).
10-17 (1819-1821) – i cosiddetti “piccoli idilli”: Il primo amore, L’infinito, La sera del dì di festa, Alla Luna, Il sogno, La vita solitaria). Due eccezioni cronologiche sono Il passero solitario (1830) e Consalvo (1831).
18-25 (1828-30) – i canti pisano-recanatesi (o “grandi idilli”): Il Risorgimento, A Silvia, le ricordanze, Canto notturno, La quiete dopo la tempesta, Il sabato del villaggio.
26-29 (1833-1835) – il “ciclo di Aspasia”: Il pensiero dominante, Amore e morte, A se stesso, Aspasia.
30-31 (1833-1835) – canzoni “funebri”: Sopra un bassorilievo sepolcrale, Sopra il ritratto di una bella donna
32 (1835) – canzone satirica: Palinodia al marchese Gino Capponi.
33-34 (1836) – gli “ultimi canti”: La ginestra e Il tramonto della luna
35-41 – Brevi frammenti e traduzioni.
La poetica espressa nei Canti si intreccia con la profonda erudizione del poeta e con l’evoluzione della sua parallela riflessione filosofica. Nelle CANZONI è senz’altro più evidente la formazione classicista ed erudita del poeta. L’intento civile, patriottico o filosofico inevitabilmente appesantisce il linguaggio poetico ricco di parole dotte e di richiami al mito antico. La sintassi e complessa, articolata, ipotattica con un ricorso assai frequente alle figure retoriche (soprattutto metafore). Nei PICCOLI IDILLI l’erudizione c’è ma è celata dietro un’apparente semplicità linguistica e strutturale. L’idillio nella poesia greca era il poemetto di ambientazione pastorale arricchito di motivi amorosi, in Leopardi diviene la descrizione lirica di una situazione soggettiva, di uno stato d’animo in cui il dato biografico è solo lo spunto iniziale per una riflessione di più ampio respiro. Negli idilli trova attuazione la poetica “dell’indefinito e della rimembranza” secondo la quale la poesia non è rappresentazione diretta della realtà, ma espressione lirica delle sensazioni/percezioni indefinite che essa suscita o della memoria che le cose risvegliano nell’animo del poeta. Il poeta, quindi, distingue tra “termini” (propri della prosa, precisi, tecnici) e “parole”, proprie del linguaggio poetico perché con la loro vaghezza e indeterminatezza, possono evocare immagini e stati d’animo. La poesia del “vago” e della “rimembranza” ritorna anche nei GRANDI IDILLI, componimenti più lunghi e con un impianto concettuale-filosofico più complesso e articolato.