“I PROMESSI SPOSI” DI ALESSANDRO MANZONI. Appunti sintetici

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STORIA EDITORIALE. La prima stesura del romanzo (inedita) risale agli anni 1821-23, col titolo Fermo e Lucia. L’autore utilizzò per l’opera una lingua mista, ricca di lombardismi e francesismi, che non lo lasciò soddisfatto. La seconda stesura risale agli anni 1925-27. Manzoni operò una revisione integrale del romanzo, rivedendone la struttura e lo stile. La soluzione linguistica adottata fu il fiorentino letterario. In questa veste l’opera vide la luce con l’editore Ferrario di Milano nel 1827 (la cosiddetta “ventisettana”). La terza e definitiva stesura è quella del 1840-42: l’autore volle intervenire ancora una volta sulla lingua, sostituendo il fiorentino letterario con quello “vivo”, ovvero con la lingua parlata dalla gente colta di Firenze. Quest’ultima edizione ha preso il nome di “quarantana”.

STRUTTURA. Come abbiamo già detto altrove, l’opera appartiene al genere del romanzo storico e proprio per conferire maggiore veridicità alla vicenda narrata, lo scrittore introduce la finzione del “manoscritto ritrovato”: un anonimo del ’600 sarebbe l’autore del manoscritto contenente la storia di Renzo e Lucia (fabula), mentre Manzoni veste i panni del narratore che riscrive e racconta a modo suo la vicenda per renderla più fruibile (intreccio). Il narratore è onnisciente, usa la 3° persona, interviene, commenta, giudica i personaggi e le loro azioni, si rivolge ai lettori. Il sistema dei personaggi è costruito nei dettagli e in modo piuttosto schematico: protagonisti (Renzo e Lucia), antagonista (Don Rodrigo), aiutanti (Agnese, Fra Cristoforo), oppositori (bravi, Don Abbondio). Personaggi più complessi sono la monaca di Monza (Suor Gertrude) – la cui vicenda è ispirata a quella di Suor Virginia de Leyva (personaggio storico al centro di un famoso scandalo al principio del XVII sec.) – e l’Innominato (personaggio immaginario) la cui conversione avviene grazie alle parole di Lucia e dopo un intenso colloquio con il Cardinale Federigo Borromeo (personaggio storico di grande levatura morale). I rapporti tra i personaggi sono simmetrici: Fra Cristoforo e il Cardinale Borromeo rappresentano la Chiesa “buona”, pura, vicina agli umili in opposizione alla Chiesa “cattiva”, schierata dalla parte dei potenti e incarnata dal vile Don Abbondio; Lucia rappresenta l’amore puro e casto in opposizione all’amore perverso e sensuale rappresentato dalla monaca di Monza. Si tratta, nel complesso di opposizioni schematiche basate sul contrasto tra bene e male, santi e peccatori. La trama è lineare, ovvero la vicenda è narrata secondo l’ordine logico-cronologico degli eventi. Quest’ultimo, tuttavia, è interrotto da frequenti analessi (flashback) e ampie digressioni (vd. la storia della monaca di Monza o quella di Fra Cristoforo). La società lombarda del Seicento è rappresentata in tutta la sua complessità storico-politica e attraverso tutte le classi sociali (umili, borghesi, nobili, basso e alto clero)

GLI “UMILI”. Per la prima volta due umili, Renzo e Lucia, assurgono a protagonisti di un romanzo. La trama – sia pure ricca di personaggi, incontri e varie peripezie – è facilmente riassumibile: nella Lombardia del Seicento, dominata dagli spagnoli, due giovani di umile condizione (filatori di seta), onesti e timorati di Dio, non riescono a sposarsi per il capriccio crudele di un potente “signorotto”, Don Rodrigo. Né il ricorso ad un avvocato (Azzeccagarbugli), né l’intervento dell’energico Fra Cristoforo riescono a risolvere la situazione. I due ragazzi sono costretti a separarsi (Renzo va a Milano, Lucia a Monza), ma dopo incontri decisivi e varie vicissitudini, che culminano nell’esplosione della grande epidemia di peste del 1630 (nella quale muore “il cattivo” Don Rodrigo), potranno ritrovarsi e finalmente unirsi in matrimonio. La vicenda di Renzo e Lucia è senz’altro intrigante, ma appare sin dall’inizio un “pretesto” per portare avanti l’operazione che sta veramente a cuore al Manzoni: far rivivere un periodo storico – il Seicento – che per l’arretratezza della struttura sociale di tipo feudale e per la presenza della dominazione straniera, poteva ben rappresentare la situazione della Lombardia della metà dell’Ottocento, ancora arretrata economicamente e oppressa dalla dominazione austriaca. La storia, quindi, non è la semplice cornice nella quale si muovono personaggi veri o verosimili, ma è la grande protagonista del romanzo, assieme alla Divina Provvidenza che offre agli umili (da sempre vittime dei potenti, secondo la concezione pessimistica del Manzoni) una possibilità di “riscatto”.

IL “ROMANZO DELLA CONVERSIONE”. Più che “romanzo della provvidenza”, però, dovremmo definire i Promessi sposi come “romanzo della conversione”, in quanto questo tema (autobiografico) attraversa tutta la vicenda: molti personaggi, infatti, hanno una storia personale di peccato-pentimento-conversione: Fra Cristoforo, frate energico e coraggioso, si converte dopo un passato turbolento (ha alle spalle l’uccisione di un uomo); l’Innominato, uomo misterioso e malvagio, si converte (dopo una notte di tormenti interiori) grazie alle parole di Lucia che lo inducono alla pietà e al pentimento; Lucia, nelle mani dell’Innominato, fa voto di castità per chiedere perdono a Dio e ottenere salva la vita; la monaca di Monza, figura perversa e irredimibile, non si converte ma vive una violenta crisi interiore a causa dei sensi di colpa che la opprimono; Don Rodrigo, arrogante e spietato, si pente e si converte in punto di morte. Nel finale la peste offre una possibilità di catarsi collettiva (simboleggiata dalla pioggia purificatrice) e garantisce il lieto fine.

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