Prima di cominciare è bene chiarire che non esiste un’unica dimensione della lingua italiana, (un unico repertorio linguistico panitaliano) e che le variazioni del repertorio sono determinate da fattori geografici, sociali, temporali e di altro tipo:
- Variazione diatopica: legata all’area geografica (dialetti e koinè regionali)
- Variazione diastratica: legata allo strato o classe sociale di appartenenza
- Variazione diafasica: legata alla “situazione” comunicativa (ruolo degli interlocutori, uso di gerghi e lingue speciali)
- Variazione diacronica: legata all’evoluzione della lingua nel tempo
- Variazione diamesica: legata al canale comunicativo (lingua scritta/parlata)
Lingua scritta e lingua parlata sono due varietà distinte, ciascuna con le proprie caratteristiche. Solo pochi tratti del parlato possono essere trasferiti nello scritto, dal momento che
- quando parliamo siamo più generici e frettolosi (spesso anche enfatici) per l’esigenza di rapidità della comunicazione orale
- quando scriviamo “pesiamo le parole” e siamo tenuti al rispetto rigoroso delle regole (morfologiche e sintattiche) della lingua.
Vediamo alcune caratteristiche del parlato che sarebbe opportuno EVITARE quando dall’oralità passiamo alla scrittura:
Quando parliamo, per pigrizia, per velocità o per timore di non essere compresi, siamo indotti ad utilizzare parole generiche e costrutti molto semplici:
- forme di coordinazione generiche: e, o, ma, poi, allora, però
- gamma limitata di congiunzioni: e, ma, poi, perché, che
- locuzioni congiuntive costruite con il che: visto che, adesso che, solo che, basta che, una volta che…
- che polivalente associato all’uso dell’indicativo come introduttore di frasi subordinate di vario tipo. Esempi: vieni che ti pettino; vai a casa che mamma ti aspetta; sono un ragazzo tranquillo che esco poco; maledetto il giorno che ti ho incontrato; fai in modo che è tutto pronto al mio arrivo
- che polivalente nelle frasi relative in sostituzione di un pronome relativo cui o il quale. Esempi: questo è il libro che (di cui) ti ho parlato; ho visto delle cose che (alle quali) non avevo fatto caso; il paese che (dove) sono stato questa estate è bellissimo; l’amico che (con cui) stavo parlando prima è andato via
Per quanto riguarda la sintassi della frase semplice, vi sono costrutti molto utilizzati nel linguaggio comune che non vanno replicati nel passaggio dall’oralità alla scrittura:
- Dislocazione a sinistra del complemento, richiamato da un pronome anaforico. Esempi: Tutte quelle tasse, riusciremo a pagarle? Luca, stasera non voglio vederlo. Nel passaggio alla scrittura, avremo: Riusciremo a pagare tutte quelle tasse? Stasera non voglio vedere Luca;
- Dislocazione a destra del complemento preceduto da un pronome cataforico. Esempi: Li lascio a casa, i libri; L’accompagno a casa, Lucia. Nel passaggio alla scrittura, avremo: Lascio a casa i libri; Accompagno a casa Lucia. Questi due costrutti, usati per evidenziare il “tema” della conversazione, sono entrambi ridondanti (c’è un pronome di troppo!).
- Accusativo preposizionale (tipico del Sud Italia): A lui non l’ho incontrato, a me non mi piace il gelato (Non l’ho incontrato; Non mi piace il gelato)
- “Ci” attualizzante: C’ho sonno! (Ho sonno)
- “Niente” in funzione aggettivale: Domani a Roma niente autobus a causa dello sciopero (nessun autobus)
Con i modi e i tempi verbali il panorama è alquanto complesso e frastagliato…
- Presente indicativo al posto del futuro semplice: domani che fai? (farai)
- Passato prossimo al posto del futuro anteriore: quando ho finito gli studi, parto per la Francia (avrò finito …partirò)
- Imperfetto indicativo al posto del congiuntivo o del condizionale nelle frasi ipotetiche: Se ti affrettavi, arrivavi puntuale (fossi affrettato…saresti arrivato)
- Imperfetto indicativo per segnalare il futuro nel passato: Luca pensava che era lui a pagare (sarebbe stato)
- Futuro epistemico per esprimere congetture e inferenze sul presente (Lei insegna, perciò saprà certamente che…) o sul passato (Non ricordo quando l’ho vista, sarà stato ieri…)
Con pronomi e concordanze, la situazione è un po’ diversa perché oggi c’è più flessibilità e alcuni usi, ahimè, sono consentiti anche nella scrittura:
- I pronomi personali Lui, Lei, Loro usati come soggetti invece di Egli, Ella, Essi: Lui ha preso il libro; Loro sono andati al cinema
- I dimostrativi Questo e Quello usati come pronomi neutri al posto di Ciò: ecco quello che mi è piaciuto nel tuo libro.
- Gli invece di A lei, A loro: Ho incontrato i tuoi fratelli e gli ho detto che… (ho detto loro); Lucia ha detto che all’esame gli hanno chiesto Dante (le hanno chiesto)
- Concordanze a senso: La maggior parte hanno approvato la legge (ha approvato); La metà degli alunni hanno superato l’esame (ha superato)
E infine il lessico…che nel parlato risulta limitato, generico o enfatico.
- Preferenza per parole dal significato generico (vaghezza semantica): cosa, parte, problema, esempio, persona, modo, fatto, tipo, punto, caso, senso, gente, discorso
- Uso di nomi con il suffisso –ata: cavolata, videata, mangiata, dormita, sudata
- Uso di parole “espressive”, che attengono all’affettività (mamma e non madre)
- Uso di nomi alterati attenuativi o intensificatori: attimino, momentino, stanchino, tardino, momentaccio, tempaccio, robetta, robina, viaggetto, regalino, maluccio, caruccio, frecciatina, insalatina, negozietto, momentaccio, nottataccia, levataccia
- Superlativi e formule varie di enfasi: tantissimo, assolutissimamente, pazzesco, mostruoso, allucinante
- locuzioni del tipo: un sacco di, un casino di, ma anche no