- INTRODUZIONE
Dante e Petrarca, sono due pilastri della nostra tradizione poetica: Dante, per primo, ha dato dignità letteraria alla lingua volgare italiana (della quale è considerato il “padre”) e ci ha consegnato un’opera, la Divina commedia, che è la “summa” della civiltà medievale; Petrarca, precursore della nuova sensibilità umanistica, è l’iniziatore di una poesia lirica raffinatissima che avrà molti imitatori nei secoli successivi.
- TESI
Entrambi i poeti sono toscani di nascita ed entrambi hanno trovato motivo d’ispirazione nell’amore per una donna (Beatrice e Laura). Tuttavia le analogie tra i due finiscono qui, perché sul piano esistenziale, culturale e ideologico prevalgono le differenze e senz’altro spicca la “modernità” di Petrarca “uomo del dubbio” rispetto a Dante depositario di tutte le “certezze” medievali.
- ARGOMENTAZIONE (1)
Innanzitutto Petrarca, come ha scritto Bàrberi-Squarotti, anticipa “la nuova visione laica del mondo e dell’uomo”, tipica dell’Umanesimo, in base alla quale l’esistenza dell’individuo è dominata “dall’analisi dell’io più che dalla ricerca di Dio” . I dubbi cha assalgono il poeta, la sua incapacità di staccarsi dalle cose terrene (l’amore, la gloria), le contraddizioni della sua vita, “l’angosciosa apprensione di un’anima che mentre ha in orrore le proprie macchie non sa detergerle” (Secretum): tutti questi elementi fanno di Petrarca un uomo inquieto, tormentato e, dunque, moderno. Petrarca, insomma, non ha la pretesa, come Dante, di insegnare agli uomini la via della salvezza (non riesce neppure a riportare se stesso sulla “retta via”), piuttosto si sofferma sulla propria condizione interiore, analizza il proprio Io e dà voce nel Canzoniere alle proprie contraddizioni, al “dissidio” che lo tormenta (terra o cielo? Amare Laura o amare Dio?); dunque, come scrive ancora Bàrberi-Squarotti: “la poesia petrarchesca è lirica non didascalica” come quella di Dante.
- ARGOMENTAZIONE (2)
L’amore per Laura è fonte di angoscia, di tormento interiore. Laura non è donna-angelo, mediatrice tra terra e cielo, è creatura terrena, soggetta al trascorrere del tempo, che non avvicina a Dio, non eleva l’anima del poeta. L’amore per Laura infiacchisce la volontà di Petrarca (rende manifesta la sua “accidia”), tenendolo ancorato a terra e allontanandolo dalla prospettiva di salvezza.
- ARGOMENTAZIONE (3)
La modernità di Petrarca è evidente anche per altri aspetti: se Dante era stato il tipico intellettuale comunale profondamente legato alla sua Firenze e immerso nelle vicende politiche della sua città (sempre rimpianta anche negli anni dell’esilio), Petrarca è intellettuale cosmopolita e cortigiano, il suo animo inquieto e la sua attività di filologo lo portano a girare tra varie città della Francia e dell’Italia, senza legarsi politicamente e affettivamente a nessuna.
- ARGOMENTAZIONE (4)
Anche nello studio dei classici Petrarca ha un approccio nuovo e moderno: Dante conosce e ama i classici, tanto da considerare Virgilio suo maestro e “guida” nell’oltretomba, tuttavia è Petrarca che per primo li studierà con scrupolo filologico, inventando, di fatto, questa nuova disciplina.
- CONCLUSIONE
Alla luce di quanto sopra esposto, appare evidente che nonostante l’indiscussa grandezza di Dante e della sua opera maggiore, la personalità di Petrarca, più complessa e ricca di sfumature, ne fa un autore più vicino alla nostra sensibilità. La sua analisi dell’animo umano, proprio come accade oggi, è una ricerca “continua e indefinita” (Bàrberi-Squarotti) e in quanto tale non può approdare a nessuna verità.
Non ho mai amato Petrarca, il che è come dire che non mi piace il pistacchio… ma da un punto di vista linguistico (dunque tralasciando gli aspetti esistenziali/ideologici) mi schiero per la modernità di Dante in questo faccia a faccia. Già Bembo, nel porre la questione della lingua, considerava Petrarca il modello più alto della poesia, visto che da buon “ciceroniano” guardava alla perfezione del volgare nell’essere il più possibile aderenti al latino. Dante era invece messo ai margini, considerato un poeta privo di “decoro” che aveva impiegato parole “rozze” e “immonde”, come lo avevano già bollato Petrarca e molti degli umanisti del primo Quattrocento. Del resto aveva usato un linguaggio non solo variegato ma anche pieno di parolacce… e nella Comedia, divenuta definitvamente Divina solo nel ‘500, oltre al proverbiale “ed elli avea del cul fatto trobetta”, si ritorvano merda, puttana e altre “bassizie”. Giovanni Della Casa, nel Galateo, dispensando le regole del buon tono e del parlare scriveva:
“Le mani alzò con amendue le fiche” disse il nostro Dante, ma non ardiscono di così dire le nostre donne (…) elle arrossirebbero, facendo menzione per via di bestemmia.
Il gesto osceno a cui si riferiva (Inf. XXV, 2) consisteva nell’infilare il pollice tra medio e indice, che Vanni Fucci rivolgeva a Dio. A parte le parolacce, il linguaggio di Dante è molto più moderno di quello aulico e perfettino di Petrarca, mi pare. E volevo difenderlo! 🙂
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Dante non si tocca, per carità! Il seducente plurilinguismo del “sommo” batte “10 a 1” il monolinguismo “asettico” di Petrarca, non v’è dubbio…e posso anche aggiungere che la grandiosa architettura della “Divina commedia” continua ad affascinare e interessare i miei studenti molto più dei sonetti sospirosi di Petrarca, quindi, se vuoi “difendere” Dante, con me sfondi una porta aperta! Eppure i dubbi e le debolezze di Petrarca, la sua volontà fiacca, le continue oscillazioni del suo animo ne fanno un personaggio inquieto, dalla sensibilità molto moderna…non credi?
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Ma sì non lo nego… è che non conosco così bene Petrarca da un punto di vista esistenziale e mi sono limitato alle mie preferenze linguistiche che ho più presente. ^_^
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Le tue preferenze linguistiche sono anche le mie 😉
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