Una brevissima nota per ricordare una delle figure più eclettiche e geniali del nostro Novecento: il “neopitagorico” Iannis Xenakis…
Attraverso la straordinaria contaminazione di arte, scienza e filosofia (Cartesio e Pitagora furono, fin dall’inizio, i suoi principali ispiratori) il compositore e ingegnere Iannis Xenakis – di origine greca, ma naturalizzato francese – elaborò la sua idea di musica come energia, ovvero come organizzazione e distribuzione nello spazio di masse sonore. Nel 1953-54 Xenakis crea il suo capolavoro: Metastaseis, una composizione per orchestra (61 elementi) ottenuta attraverso l’applicazione in campo musicale di regole e processi matematici. Xenakis fu innanzitutto, ricordiamolo, un ingegnere civile e un geniale architetto della scuola di Le Corbusier (i due lavorarono insieme dal 1947 al 1960) e proprio le affascinanti teorie costruttive di quest’ultimo, assieme all’attenzione per il pensiero greco antico, determinarono il modo nuovo, originalissimo, di concepire e di fare musica del grande compositore, che fu tra i primi ad utilizzare il computer nella creazione di forme musicali e ad applicare, nel campo della musica strumentale, la “Teoria degli insiemi” e la “Teoria dei giochi” di John von Neumann. Ha scritto Enzo Martinelli:
La coesistenza tra l’attività di ingegnere strutturista e la composizione musicale per la quale è considerato uno dei riferimenti nell’ambito della Nuova Musica della seconda metà del XX secolo, rievoca un’affinità tra architettura e musica dettata da un famoso aforisma di Wolfgang Goethe per il quale «l’Architettura è Musica congelata» (erstarrte Musik) enfatizzando il carattere immobile e statico della prima rispetto all’ineffabile dinamicità della seconda. In effetti, la tecnica compositiva di Iannis Xenakis si fonda sulla trasposizione in musica di concetti propri dell’ingegneria o dell’architettura, quali la “massa”, o della geometria, traducendo in forma grafica gli “eventi musicali” di tipo “puntuale” o “lineare” corrispondenti al pizzicato o al glissando degli strumenti dell’orchestra.[1]
Per Xenakis i materiali musicali sono materiali da costruzione e le sue composizioni, scritte su carta millimetrata, si sviluppano all’interno di improbabili diagrammi matematici: servendosi della “croce” cartesiana, infatti, il compositore traccia sul foglio delle linee sinuose, spiraliformi, che rappresentano lo snodarsi, nella dimensione spazio-temporale, delle masse sonore. Naturalmente, ragionando in questi termini e utilizzando in ugual modo, per la musica e per l’architettura, concetti come quelli di “massa”, “linee”, “spazio”, “energia”, ecc. diviene davvero difficile distinguere tra uno spartito musicale e un progetto costruttivo, tra una melodia e un edificio! E mi accorgo di non poter fare a meno di chiamare in causa Paul Valéry, che fu tra i primi a istituire, nell’Eupalino e nei Quaderni, continui confronti e parallelismi tra musica, arte e architettura e a utilizzare indifferentemente per queste ultime il concetto di «modulazione»:
Musicalizzare – «Armonizzare» […] Si tratta di comporre… di voler ordinare delle parti specializzate – ognuna dedicata a un modo – un movimento – un registro di parole, un regime di sostituzioni (ragionamento, immagini, sentimento –) e di organizzare contrasti, simmetrie, e le modulazioni o le discontinuità. Allegro – Presto – ecc.[2]
D’altro canto, musica e architettura sono entrambe frutto dell’organizzazione logica del pensiero, ragion per cui – afferma Xenakis – devono essere valutate non mediante giudizi estetici (è bello/è brutto), ma per la loro «efficacia» comunicativa ed emozionale (“L’efficacia è un segno di intelligenza”[3]).
I celebri «polìtopi» dell’architetto lecorbusiano (famoso il Padiglione Philips costruito per l’Expo di Bruxelles del 1958 dal suggestivo titolo Poema elettronico o quello di Montreal del 1967) possono essere presi ad esempio del nostro discorso. Scrive Cohen a proposito del Padiglione Philips:
Il padiglione è un grande contenitore nel quale i visitatori sono circondati dalle immagini della “Poesia elettronica” elaborata per l’occasione, in accordo con la banda sonora di Varèse. Sei immagini proiettate sulle pareti da Le Corbusier per “mostrare in seno a un tumulto angosciante la nostra civiltà partita alla conquista dei tempi moderni”. “Museo immaginario ideale”, così come lo definisce Jean Petit, che ne assembla gli elementi, la “Poesia” oppone a immagini scientifiche o artistiche provenienti da ogni parte del mondo, rappresentazioni di fabbriche, dei cliché dell’universo e altri ancora, con i quali le proiezioni colorate astratte entrano in dialogo. Vengono applicati sistemi avanzati di sincronismo elettronico del suono e dell’immagine.[4]
In queste fantastiche, quanto effimere, architetture, le superfici curve e continue delimitano uno spazio energetico in cui il vuoto, la luce, il suono sono importanti almeno quanto la struttura. Lo spettacolo spaziale-luminoso-sonoro generato da quei padiglioni pubblicitari, tanto imponenti e geometricamente arditi quanto provvisori, “assorbe” totalmente il visitatore che non è un semplice ospite, un intruso, ma anzi un elemento fondamentale, attivo, della struttura che si trasforma in suggestivo spazio teatralizzato: impossibile, a questo punto, non associare alla «rivoluzione» operata dalla coppia Le Corbusier-Xenakis nel campo dell’architettura (e anche della musica, per quanto riguarda il secondo), l’azione innovatrice operata dai futuristi in ambito teatrale (la loro demolizione-ricostruzione dello “spazio scenico”), o anche l’esperienza novecentesca del “Teatro totale”.
Come ha scritto Eugenio Trias, Iannis Xenakis non solo è stato il “rappresentante della più esigente modernità architettonica e musicale”, ma anche il “ricreatore di un neopitagorismo all’altezza dei tempi, in cui valga il grande progetto dell’unione delle arti del quadrivium: astronomia, aritmetica, geometria, musica”:
Questa grandiosa utopia si materializza e si concretizza in associazione con il trivium; la filologia e la storia forniscono i principali argomenti letterari, filosofici, che Xenakis intesse in grandi poemi sinfonici: la tradizione omerica, quella delle tragedie – Eschilo, Sofocle, Euripide –, e dei filosofi, come Platone. Attraverso questa musica – atonale e ruvida come nessun’altra – si suggerisce, quindi, un ideale di paideía, o di educazione integrale, in cui le arti e le lettere, le scienze della natura e la matematica, trovano nella musica un possibile punto di unione.[5]
[1] Cfr. E. MARTINELLI, Prefazione, in Oltre il regolo. Da Dostoevskij a Gadda: percorsi umani e intellettuali di ingegneri-artisti, a cura di E. Martinelli, Rubbettino, Soveria Mannelli 2012, p. 10.
2] Cfr. P. VALÉRY, Quaderni, a c. di J. ROBINSON-VALÉRY, vol. I, Adephi, Milano 1985, p. 343.
[3] Y. XENAKIS, Musiques formelles, 1963.
[4] J. L. COHEN, 1958. Padiglione Philips, in ID., Le Corbusier. 1887-1965. Un lirismo per l’architettura dell’era meccanicista, trad. it. C. VIVIANI, Köln, Taschen 2005, p. 85.
[5] Cfr. E. TRIAS, Il Canto delle Sirene, Tropeismi, Marco Tropea Editore, Milano 2009.
I tuoi pezzi sono sempre estremamente accurati e interessanti. Non conoscevo Xenakis, ma sono sempre stato affascinato dalla contaminazione tra scienza e arte. In particolare mi sono occupato di matematica e letteratura, per es. i cento miliardi di poemi di Queneau, che poi ha fondato l’Oulipo proprio con il matematico Le Lionnais (pare dopo un concerto di Bach che aveva stimolato l’dea di provare a replicare in letteratura strutture simili a quelle delle fughe), che in Italia ha portato all’Oplepo, poi scisso nell’Opelpo dopo aver dato vita a Teano (il braccio informatico). Quando Calvino, nelle Cosmicomiche, partiva da affermazioni scientifiche per sviluppare racconti suscitava ancora scalpore per l’accostamento di arte e scienza, all’epoca visti ancora come cose molto diverse. E anche i patafisci hanno sempre lavorato in questa direzione. La nuova filosofia della scienza ha invece avvicinato il porcesso scientifico a quello creativo e oggi i due mondi non sono più stridenti, anzi con il digitale sono nate nuove forme espressive che però difficilmente fanno riverimento agli esempi storici pre-elettronici. Sono andato fuori tema rispetto al tuo pezzo, ma è la riflessione che mi ha stimolato. Un saluto.
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Grazie mille per il tuo intervento, assolutamente pertinente. Le “scritture contaminate” sono affascinanti, me ne sono occupata nel corso degli anni attraverso saggi, libri e comunicazioni a convegni…spero di riuscire a pubblicare questo materiale (e, soprattutto, di stimolare altre riflessioni). Un saluto
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