
Cosa significa il termine “avanguardia”? Al principio del Novecento – al culmine della Belle époque e in un clima di generale ottimismo incoraggiato dal progresso industriale e tecnologico – si diffondono in tutta Europa nuovi movimenti culturali e artistici detti d’“avanguardia”. “Avanguardia” è un termine militare che indica quel reparto dell’esercito che si stacca dal resto della truppa, va avanti, in prima linea, e si slancia coraggiosamente contro il nemico. In campo culturale “avanguardia” indica quegli intellettuali, poeti, artisti che appunto “vanno avanti” rispetto agli altri, guardano verso il futuro con la voglia di abbattere tutti i simboli del passato in nome della MODERNITA’ e dei suoi nuovi valori (azione, velocità, dinamismo).
Gli avanguardisti di inizio Novecento puntavano a modernizzare tutti i settori della società e della cultura, attraverso una vera e propria “rivoluzione culturale”: abbattere musei e biblioteche, distruggere l’arte e la letteratura della tradizione, cancellare il passato per poter ripartire da zero. Non dimentichiamo che sono gli anni della seconda rivoluzione industriale: le fabbriche producono con velocità grazie alla catena di montaggio, circolano le prime automobili, i treni sono più veloci, compaiono i primi aeroplani, le città si illuminano con la luce elettrica, nascono il cinema e la radio. Tutte queste novità “tecnologiche” eccitano la fantasia degli intellettuali più giovani e li spingono a cercare nuove forme di espressione artistica per rappresentare la nuova “civiltà delle macchine”.
L’avanguardia futurista. Caratteri generali del movimento. Il futurismo è il movimento d’avanguardia più importante di inizio secolo, nato in Italia ad opera di Filippo Tommaso Marinetti e di un gruppo di giovani seguaci. Si basa sul rifiuto di tutte le forme artistiche tradizionali e sulla ricerca di un linguaggio adeguato alla nuova civiltà delle macchine.
La grande intuizione dei futuristi fu proprio questa: capire che la cultura del Novecento non poteva più essere legata al passato e alla tradizione, bisognava andare avanti, produrre un’arte al passo con i tempi che rispecchiasse il dinamismo e la velocità dei tempi moderni. Anche il concetto di bellezza doveva cambiare. Non poteva più essere legato al passato, all’arte classica…un’automobile in corsa per i futuristi è più bella ed emozionante di una scultura dell’antica Grecia, perché rispecchia i valori della modernità (velocità, azione, simultaneità, dinamismo). I futuristi rifiutano ogni forma di immobilismo (nella cultura, come nella politica), amano l’AZIONE, anche quella aggressiva, violenta, se è necessaria per affermare le proprie idee…ecco perché furono sostenitori della guerra intesa come “sola igiene del mondo”: attraverso la guerra, con la violenza distruttiva delle nuove armi, si potrà abbattere la vecchia civiltà per costruirne una nuova.
I futuristi, assumendo atteggiamenti rivoluzionari, aggressivi e antipassatisti, furono ovviamente antiborghesi: contro il perbenismo, il pacifismo e la democrazia; sostennero invece la positività assoluta del gesto ribelle e libertario, dell’eroismo fine a se stesso. Tale atteggiamento li portò ad essere interventisti, ad arruolarsi volontari nella prima guerra mondiale e ad aderire, negli anni venti, al Fascismo di Mussolini.

Manifesto di fondazione del futurismo (20 febbraio 1909). La fondazione del Movimento futurista avviene con la pubblicazione del primo Manifesto del futurismo pubblicato il 20 febbraio 1909 da F.T. Marinetti sulle pagine del quotidiano parigino “Le Figaro”. Questo documento (che ha il carattere di un manifesto politico) contiene il programma culturale del movimento articolato in 11 punti, quelli che i futuristi intendevano seguire per attuare la loro “ricostruzione futurista dell’universo” (titolo di un manifesto del 1915). Dagli anni ’10 fino agli anni ’40 saranno pubblicati tantissimi altri manifesti dedicati alle singole arti (pittura, poesia, scultura, architettura, musica, teatro, cinema, radio, ecc.) e anche a settori della vita e della società (moda, amore, cucina, pubblicità, ecc.).
- Noi vogliamo cantare l’amor del pericolo, l’abitudine all’energia e alla temerità.
- Il coraggio, l’audacia, la ribellione, saranno elementi essenziali della nostra poesia
- La letteratura esaltò fino ad oggi l’immobilità pensosa, l’estasi e il sonno. Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l’insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo ed il pugno.
- Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della velocità. Un automobile da corsa col suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall’alito esplosivo… un automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bello della Vittoria di Samotracia.
- Noi vogliamo inneggiare all’uomo che tiene il volante, la cui asta ideale attraversa la Terra, lanciata a corsa, essa pure, sul circuito della sua orbita.
- Bisogna che il poeta si prodighi, con ardore, sfarzo e munificenza, per aumentare l’entusiastico fervore degli elementi primordiali.
- Non v’è più bellezza, se non nella lotta. Nessuna opera che non abbia un carattere aggressivo può essere un capolavoro. La poesia deve essere concepita come un violento assalto contro le forze ignote, per ridurle a prostrarsi davanti all’uomo.
- Noi siamo sul promontorio estremo dei secoli!… Perché dovremmo guardarci alle spalle, se vogliamo sfondare le misteriose porte dell’Impossibile? Il Tempo e lo Spazio morirono ieri. Noi viviamo già nell’assoluto, poiché abbiamo già creata l’eterna velocità onnipresente.
- Noi vogliamo glorificare la guerra – sola igiene del mondo – il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei libertari, le belle idee per cui si muore e il disprezzo della donna.
- Noi vogliamo distruggere i musei, le biblioteche, le accademie d’ogni specie, e combattere contro il moralismo, il femminismo e contro ogni viltà opportunistica o utilitaria.
- Noi canteremo le grandi folle agitate dal lavoro, dal piacere o dalla sommossa: canteremo le maree multicolori o polifoniche delle rivoluzioni nelle capitali moderne; canteremo il vibrante fervore notturno degli arsenali e dei cantieri incendiati da violente lune elettriche; le stazioni ingorde, divoratrici di serpi che fumano; le officine appese alle nuvole pei contorti fili dei loro fumi; i ponti simili a ginnasti giganti che scavalcano i fiumi, balenanti al sole con un luccichio di coltelli; i piroscafi avventurosi che fiutano l’orizzonte, le locomotive dall’ampio petto, che scalpitano sulle rotaie, come enormi cavalli d’acciaio imbrigliati di tubi, e il volo scivolante degli aeroplani, la cui elica garrisce al vento come una bandiera e sembra applaudire come una folla entusiasta.
- Umberto Boccioni, Bozzetto de La città che sale (1910)
Manifesto tecnico della letteratura futurista (1912). Tra i vari manifesti, il più interessante in campo letterario, anche per le conseguenze che ebbe sulla poesia successiva, fu il Manifesto tecnico della letteratura futurista (1912), che proponeva le “parole in libertà”:
- la distruzione di tutti i nessi sintattici (le congiunzioni)
- l’uso del verbo all’infinito (per dare più ritmo e velocità al verso)
- l’abolizione degli avverbi e dei sostantivi (considerati della inutili “pause”)
- l’abolizione della punteggiatura (che “frena” la lettura)
- un uso estremo dell’analogia e dell’onomatopea (usare immagini e suoni riferiti a oggetti e azioni, invece di descriverli)
- “la rivoluzione tipografica” (usare lettere e parole per rappresentare le idee graficamente)
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