ALFONSO GATTO, “SCRITTI DI ARCHITETTURA”

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La passione di Gatto per l’urbanistica e per l’architettura – quali fattori di progresso morale e civile, elementi di riconoscimento di un popolo, testimonianza di gusto e di civiltà – è cosa nota e certamente ben presente agli esegeti della sua poesia. Ne è prova il fatto che, già nel 1992, Epifanio Ajello, tra i più acuti interpreti della poesia del salernitano, raccoglieva in volume gli scritti di Gatto pubblicati su «Casabella», indicandone un uso «immediatamente spendibile così: attraverso un lavoro di decrittazione, al di là della forma del reportage, andrebbero ritrovati i punti e gli snodi dove la scrittura referenziale si fa poetica, e dove la poetica si trasforma, a forza, in una ideologia» (Epifanio Ajello, a cura di, Cronaca dell’architettura. Alfonso Gatto, Salerno, Ordine degli architetti della Provincia di Salerno, 1992, p. 143).

Senz’altro interessanti come documento di più di una stagione della nostra architettura e dei suoi contatti/conflitti con gli sviluppi del razionalismo e del funzionalismo europeo e statunitense, gli interventi di Gatto su “Casabella” consentono di ricostruire l’intero dibattito sulle sorti dell’architettura moderna italiana (architettura funzionale vs architettura mediterranea) che vide schierati, negli anni Trenta e fino al 1945, Persico, Pagano, Giolli, Argan, Venturi e naturalmente Gatto – fautori di un’apertura alla corrente razionalista dell’architettura moderna (Wright, Neutra, Gropius) – contro ogni tentativo di chiusura nazionalistica propugnata da chi – come Pensabene e Ojetti – postulava due indifendibili equazioni: internazionalismo=bolscevismo e tradizione italiana=monumentalità.

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Ma gli scritti di Gatto sull’architettura, oltre a testimoniare le sue qualità di critico competente, aggiornato e dotato di una «spietata vis polemica», offrono anche un’importante chiave di lettura dei suoi versi, ai quali – come ha scritto Giuseppe Lupo – «piazze, strade, periferie, gazometri forniscono […] le quinte di un paesaggio che celebra il mito della modernità», mostrandoci un «poeta invaghito dai reticoli topografici, disposti a fissare nei luoghi di Salerno, Milano, Firenze e Venezia le tappe di un ideale itinerario voyeuristico» (cfr. Alfonso Gatto, Scritti di architettura, a cura e con introduzione di Giuseppe Lupo, con un saggio critico di Hosea Scelza, Torino, Aragno Editore, 2010). Anche Ajello (nel volume sopra citato) ci aveva messo in guardia sul linguaggio «tutto fessure, depistaggi» delle «Cronache», nelle quali è rintracciabile la «prosa ariosa, poetica di Gatto che come compressa è pronta a rivendicare la sua funzione veggente sulle cose, sui significati, sulle scelte».

Nel Discorso su Neutra del 1937 Gatto, facendo proprio un assunto del compianto “maestro” Edoardo Persico, non esitava ad affermare che «un discorso sull’architettura va sempre oltre l’architettura», investendo «tutta la vita dello spirito e prima di tutto, sino al fondo, la coscienza di chi lo esprime». Nasce anche da qui il rifiuto, da parte del poeta salernitano, di una concezione meramente tecnica dei fenomeni architettonici, le cui ragioni trascendono l’angusto orizzonte delle nuove tecnologie e delle diverse soluzioni costruttive per investire il più vasto campo dei rapporti umani e dell’organizzazione della vita collettiva. L’idea che Gatto (e prima di lui, Persico) ha dell’architettura, insomma, è quella di una disciplina i cui obiettivi pratici devono essere costantemente subordinati ad un disegno teorico di più vasto respiro inerente alla costruzione di civiltà future, di nuovi modelli di convivenza civile. Negli anni in cui collabora a «Casabella», Gatto non si occupa di progetti e di nuove tecnologie, ma – come nota Lupo – guarda a queste ultime come strumenti per costruire «un modello di vita e di società, un’ipotesi di bene comune, insomma, un modo nuovo di intendere l’architettura, quello di Gatto (e di Persico), mirante ad innalzare questa disciplina dalla sfera tecnico-pratica a quella delle scienze umane e, infine, dell’arte.

Il nome di Edoardo Persico ricorre in modo insistente negli scritti di architettura di Gatto, che ne ereditò il ruolo di «tribuno» sulle pagine di «Casabella» dal marzo del 1937 fino al novembre del 1938. Persico, napoletano di nascita ma milanese di adozione, punto di riferimento nella Milano degli Trenta per molti intellettuali déracinés (tra i quali anche Sinisgalli e De libero), è di volta in volta indicato da Gatto come un amico sincero, con un «destino» di critico, sia pure incompreso e trascurato dalla cronaca, un polemista energico e intransigente, un modello imprescindibile, la cui figura ingigantisce progressivamente nel ricordo del poeta salernitano fino ad assumere i contorni mitici del «profeta inascoltato».

Dopo il 1945 lo scenario politico italiano muta e con esso cambiano anche i protagonisti e i temi del dibattito architettonico. Tuttavia, Gatto non riesce del tutto a svincolarsi da quelli che erano stati gli argomenti (l’architettura razionalista) e le figure di spicco del decennio precedente. Poco aggiungono, infine, i testi (solo quattro) redatti negli anni Cinquanta e Sessanta incentrati su argomenti eterogenei e privi di quella forza polemica che negli anni prebellici aveva sorretto la visione sostanzialmente “politica” dell’architettura elaborata da Gatto (e prima di lui da Persico), ma destinata inevitabilmente al fallimento. Negli anni del boom economico, e della neonata società dei consumi, anche Gatto – come Sinisgalli, Vittorini e altri intellettuali convinti dell’unità della cultura e animati da visioni utopistiche da consegnare ai posteri – fu costretto a prendere atto che solo nella dimensione del sogno e dell’utopia sarebbe potuto esistere quel «paese elementare e nuovo nel quale cominciare a vivere clementi», profetizzato nella Cronaca dell’architettura dell’ottobre 1938.

La recensione completa è su http://www.progettoblio.com/files/93.pdf

 

 

 

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